Petrarca nel tempo
Introduzione
TRIONFO DELLA STORIA
I codici sono come i gatti. Non amano i viaggi.
Hanno viaggiato sì e
molto in passato. Hanno viaggiato nelle bisacce degli studenti, fra
le balle di lana dei mercanti, nei carriaggi militari di predatori,
nelle valigie di ladri internazionali. Hanno affrontato migrazioni
di massa a seguito di vendite colossali o di altrettanto grossi salvataggi.
Ma ora che potrebbero viaggiare nelle prime classi dei jumbo, preferiscono
restare a casa, nelle biblioteche che li ospitano, protetti da microclimi,
casseforti e occhi vigili di Argo. In questo caso siamo d’accordo
con loro e rinunziamo volentieri alle emozioni dell’ulissismo.
La mostra dedicata alla tradizione delle opere di Petrarca ha rispettato
questo bisogno, ma non poteva rinunziare alla presenza di quelle meravigliose
persone che sono i libri manoscritti, a quei compagni fedeli, affettuosi
e discreti di tanti e tanti intellettuali nel corso del tempo. Absens
absentem praesentem facit: quello che fu un grande privilegio dell’amore
e della lettera è per noi trasferito nella fotografia. Come
per secoli la lettera ha supplito per l’amico all’assenza
dell’amico rappresentandone l’imago animi, così noi
abbiamo delegato la rappresentazione dei codici assenti alle fotografie,
parlando medievalmente con le umbrae, con gli specchiati sembianti,
con gli specula. Come in specchi i codici riflettono la loro bellezza
nelle diapositive luminose. Si specchiano in sembianti che sono più grandi
degli originali, perché il cinema ha assuefatto il nostro occhio
all’immagine ingigantita: e noi non ci accorgiamo della distorsione
nelle proporzioni perché siamo avvolti e travolti dal fascino
aggressivo e invadente della luce e dei colori, che ci arravogliano
e ci imbrogliano come facevano le nuvole con la luna partenopea di
don Salvatore Di Giacomo.
Le nostre diapositive giganti misurano cm 140x99, sono
cioè precisamente
simili alla pagina ideale dell’ottavo contemporaneo, il formato
oggi più amato e diffuso del libro. Sono cioè pagine
virtuali geometricamente proporzionali al libro vero. Siamo consapevoli
che nessuna umbra provocherà nell’ammirato visitatore
la sindrome di Stendhal. Ma alla fin fine guardare una pagina di codice,
ben chiusa nel fondo di una teca sulla quale si affacciano scomodamente
più teste curiose, è fatto che ha più di feticismo
che di conoscenza. Ciò va detto, pur facendo contestualmente
la confessione che un po’ ci comportiamo come la volpe con l’uva
irraggiungibile sull’alto pergolato.
Offriamo dunque immagini - per tirannia di borsa
in numero dimezzato rispetto a quello che avremmo voluto e programmato:
vuote, inconsistenti
e pur magiche immagini. Le offriamo agli studiosi, ma soprattutto a
chi è attirato dalle età che furono e dal cammino storico
dell’uomo, le offriamo ai curiosi. Saremo soddisfatti se uomini
colti vorranno ripercorrere e gustare visioni note, magari sognarle
di nuovo; ma saremo davvero felici se papà e mamme qualsiasi
faranno una passeggiata nella sottochiesa di san Francesco tenendo
per mano i loro figlioletti, se qualche immagine attirerà la
loro curiosità, se fermeranno i passi per volerne sapere di
più, meglio ancora se un bambino discolo porrà loro qualche
nuovo e insospettato ‘perché’.
Di colui che fu unica scaturigine di due fiumi, quello dell’umanesimo
e quello della lirica europea, la mostra intende ripercorrere opera
per opera le stazioni della loro tradizione, che è come dire
il percorso nel tempo che va dal momento in cui uscirono dalle mani
del loro autore fino a noi. Ambizione, ne conveniamo, troppo grande,
ma con la quale occorreva provare a misurarsi. La tradizione è un
cammino senza regole: si possono scalare vette luminose e sprofondare
nelle tenebre di cunicoli oscuri, viaggiare in comode pianure e andare
in circoli perversi. Rifare all’indietro il percorso della tradizione
di un testo è operazione difficile e ingrata, ma può portare
alle sorgenti del Nilo. Non abbiamo l’ambizione né di
ripercorrere tutta la catena delle successioni né di saperla
esporre. Offriamo alcune linee e sostiamo in alcune stazioni.
Ecco, il nostro è un andare libero per stazioni, senza obblighi
precisi. La nostra sacra rappresentazione ha i suoi luoghi deputati,
che sono le singole opere di Francesco, divise e suddivise diligentemente
in italiane e latine, in poesia e prosa, in lettere, storie, trattati,
e dialoghi, e preghiere e orazioni, fino al testamento e alla lettera
a noi posteri. Ma dentro ognuna di queste stazioni si deve fare un
movimento che dal nostro passato viene verso il nostro presente.
A questi regolati meandri, nei quali non è possibile
perdersi, ben corrispondono gli spazi che ci ospitano, catactoni come è catactonia
la storia finché lo storico non la rende presente. E c’è anche,
nell’obbligo del cammino, un che della struttura trionfale petrarchesca.
Perché il nostro è un po’ il trionfo dell’Amore
che ci tiene avvinti alla gloria cristallinamente immobile del poeta,
ed è il trionfo della Pudicizia che vince il nostro amore e
lo trattiene dai peccati di sopraffazione intellettuale e morale. Ma è anche
il trionfo della Morte, che è intrinseca alle cose sublunari,
al passare delle stagioni, e che ci si presenta periodicamente come
terribile, pietrificante, silenzio dell’Amore e dell’Arte. È poi
il trionfo della Fama, l’unico premio alle fatiche dei forti. È il
trionfo del Tempo, che vince e abbatte anche la Fama, ma è anche
la universale forza che fa sbocciare i fiori e porta i frutti alla
maturazione, è la dimensione nella quale si dipana la favola
di ognuno, è l’aria nella quale viviamo, vecchierelli
illitterati ed eruditissimi scienziati, ed è anche mitologicamente
il padre della Verità.
Non è purtroppo, sconsolatamente, il trionfo dell’Eternità:
in questo non allievi di Petrarca, ci fermiamo al Tempo, e ad esso
aggiungiamo una speranza di eternità laica: la Storia. Ecco
il nostro trionfo è la festa, nel nome del Petrarca, delle nozze
fra Tempo e Storia.
Michele Feo
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